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CIRCOLO MUSICALE
MAYR-DONIZETTI
BERGAMO-ITALY
40ª STAGIONE OPERISTICA 2014/2015 - NOTE DI REGIA

 

24 Ottobre 2014 - Concerto Pucciniano
Ricorre quest’anno il novantesimo anniversario della morte di un compositore di grandezza assoluta: Giacomo Puccini. Una ricorrenza è sempre un’ottima occasione per riaccostarsi, con spirito nuovo, a creazioni o artisti che, anche se notissimi, possono riservare nuove prospettive di scoperta. In quest’ottica il Circolo Musicale Mayr-Donizetti presenta, per la serata inaugurale della propria 40ª stagione, un piccolo viaggio nel tempo in cui toccare, in un dinamico itinerario a tappe, alcuni dei momenti più affascinanti che l’autore ci ha lasciato. Accanto a pagine notissime come, ad esempio, O soave fanciulla, Vissi d’arte, E lucean le stelle, Un bel dì vedremo, risuoneranno brani come Ch’ella mi creda, da La fanciulla del West e Chi il bel sogno di Doretta da La Rondine: forse di più raro ascolto non meno illuminanti per la comprensione del “caso Puccini”.
I singoli momenti saranno percorsi in una progressione sostanzialmente cronologica così da offrire, in filigrana, una linea d’indagine sul progressivo approfondimento del linguaggio musicale pucciniano e sull’evoluzione dei codici drammatici utilizzati dall’autore nelle sue introspezioni nelle tensioni dell’animo umano.
Per avvalorare questo esercizio il maestro Damiano Maria Carissoni, che sarà al pianoforte, ha stilato una scelta dei brani e scene di grande piglio espressivo, affidandoli a tre artisti di grande “fede” pucciniana. Diego Cavazzin, già ammirato in numerosi ruoli delle nostre scorse stagioni (Turandot, Trovatore, Luisa Miller, Andrea Chénier), e ormai punto di riferimento del Circolo, affronterà le parti tenorili. Il soprano Sharon Zhai, applaudita Liù nel nostro ultimo allestimento di Turandot, darà voce ai personaggi cui Puccini ha assegnato spontanea semplicità e linee di canto fatte di vitalità vivace e giovanile. L’altra faccia della femminilità (eterno cardine della figurazione pucciniana), sarà affidata per contrasto ai colori più drammatici della voce di Manami Hama.
Il riferimento alla duplicità dei ruoli femminili in Puccini emergerà soprattutto in Turandot, opera che esprime il complesso ed emblematico accostamento di due donne antitetiche: la gelida principessa e la schiava appassionata.

a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.


 

14 Novembre 2014 - Madama Butterfly
Il dramma di Cio-Cio-San ha sempre affascinato vaste platee. Non stupisce affatto che, con buona probabilità, proprio Madama Butterfly sia l’opera più rappresentata in assoluto non solo del catalogo di Puccini, ma di tutto il repertorio lirico. La ragione di un tale primato va ricercata, oltre che nella qualità ragguardevolissima della musica, nell’attualità e nella portata sociale della sventurata vicenda della piccola geisha.
Incurante della realtà che la circonda, con la sola forza della speranza, questa sposa-bambina crede. E lo fa in senso assoluto. Crede all’amore, alle promesse di Pinkerton e, pur messa di fronte alla cruda realtà dal console Sharpless, continua caparbiamente ad aggrapparsi alla fiducia. La svolta è segnata dall’arrivo della “vera sposa” americana. In questo momento la “piccina mogliettina olezzo di verbena” come una crisalide si trasforma, divenendo profonda figura tragica. Il gesto del suicidio sacro giapponese (harakiri o, più correttamente, seppuku), suggella il senso estremo del suo sacrificio di donna e di madre. Per rendere percettibili queste forze è mio desiderio focalizzare l’attenzione su una ricostruzione scenica in qualche modo ripulita da troppi elementi tradizionali codificati come giapponesi dalla cultura occidentale. Per la gestualità ho chiesto quindi alla protagonista, lei stessa nipponica, azioni e portamento eleganti ma semplici, così come prescrive l’equilibrio tipico della sua origine. Con questo particolare clima, punto ad ottenere il giusto contrasto nei confronti di Pinkerton che si muoverà con dinamiche più spicce e prosaiche, tipicamente Yankee.
La scena fissa sarà costituita da una dimora semplice con il colore dominante bianco delle pareti scorrevoli shosi. Gli elementi floreali – prestabiliti – saranno presenti, ma senza eccessi, così che prevalga l’idea di un contesto zen. Nel primo atto la nota gessosa sarà contrastata dai coloratissimi kimono dei familiari di Butterfly, presenti al matrimonio ma ormai estranei alla sua storia. Con la prosecuzione della vicenda il bianco sarà metafora della solitudine e della povertà incombenti, dall’acuirsi di un dramma ove le cure di Suzuki appariranno come unico contraltare di presenza umana. Un’algida cornice preparerà la tragedia finale della donna, e si svilupperà progressivamente fino al compimento estremo.
La mia scelta registica, sostenuta dai colori acquarellati dei paesaggi di Hiroshige nei fondali, tenderà a far emergere un sincero clima giapponese libero da troppe tentazioni convenzionali. Poche incidentali incursioni di colori accesi serviranno a sottolineare gli snodi di più denso spessore tragico.

a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.


 

12 Dicembre 2014 - Manon Lescaut
Manon Lescaut è il terzo dramma lirico di Puccini ma si tratta in un certo senso della sua vera “prima opera”; infatti, proprio con questo melodramma il grande musicista riesce definitivamente a rivelare le sue reali potenzialità ed a trovare un suo linguaggio e originalità compositiva.
Questo aspetto è facilmente percettibile per il taglio particolare e personale dato alla vicenda di questa “donna perduta”. La Manon voluta da Puccini, e creata drammaturgicamente dai numerosi librettisti ingaggiati, è non solo molto diversa, ma quasi antitetica, rispetto alla precedente e più nota “altra” Manon, quella di Massenet. Dal suo ricchissimo epistolario si comprende subito il desiderio di voler cancellare tutto ciò che potrebbe risultare “francese”; cade infatti, in questa nuova trasposizione, il licenzioso clima Rococò e la sensuale galanterie, ma anche quella nebulizzazione sentimentale che nelle passi precedenti caratterizzava i primi momenti della vita dei due giovani amanti. Sono cancellati anche il dualismo tra misticismo e sensualità, ascetismo e dannazione, ma anche l’ingombrante redenzione finale presenti nel romanzo di Prévost ed in Massenet.
La Manon di Puccini è dunque una figura nuova. Sola e ripiegata su se stessa, si muove con incedere incerto, stanco e privo di intima determinazione. La giovane ragazza, apparentemente guidata soltanto dai sensi, è sempre inappagata nella continua ricerca di “altro" ed incapace di rinunciare ad alcunché. È una donna la cui frivolezza galante produce perennemente instabilità e fughe reali, sventate, sperate. La condotta e la vita di Manon diviene, quindi, immagine della crisi degli ideali borghesi ottocenteschi che tanto sollecitò le coscienze umane alla fine del XIX secolo. Anche la sua sensualità, dapprima negata dal bisogno di verginità, si muta in insoddisfazione e desiderio nevrotico ma inconcludente di colmare un vuoto di sentimenti puri e profondi.
Troppo debole nell’opporsi al padre, troppo facilmente disposta a fuggire con Des Grieux, incapace di rivalsa nei confronti di un fratello più amorale di lei, scivola fino a divenire cortigiana in un lusso che appaga solo la superficialità. Nemmeno le figure che le fanno da corona riusciranno scalfire questa sua condizione di ennuie, che la porterà ad accettare passivamente l’esilio e il marchio d’infamia.
Con questo dramma lirico si chiude la grande stagione romantica per dare spazio alle velleità dell’ultima stagione del Decadentismo.
Secondo questa lettura la mia interpretazione registica si muoverà “per sottrazioni”. Il palcoscenico sarà progressivamente meno ricco di elementi, fino a giungere allo scabro e desertico scenario del finale. Per le scene dei due primi atti attingerò ad opere di due grandi pittori francesi del Settecento (François Boucher e Jean-Honoré Fragonard). Nel terzo e quarto atto inserirò invece elementi quasi coevi di pittura inglese (John Constable e Joseph Mallord William Turner), a segnare il progressivo cammino dalla frivolezza rococò allo schianto sentimentale del primo romanticismo d’oltremanica. Anche il gesto degli artisti si farà sempre meno galante e sempre più naturale fino a suggerire nel finale un realismo quasi verista. La mia regia intende dunque tracciare un cammino che da un luminoso e scintillante Settecento galante fatto di arcadiche campagne e di boudoir tappezzati di seta ci condurrà verso squallidi e cupi porti di mare e, infine, agli arroventati e desolati tramonti desertici del Nuovo Mondo.

a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.


 

13 Febbraio 2015 - Un ballo in maschera
Un ballo in maschera a differenza di ForzaOtello e Falstaff, benché sia un’opera di repertorio, non si è mai identificata come queste ultime in un particolare allestimento “stereotipo”. Sebbene infatti esistano precise indicazioni sceniche dello stesso Verdi, come del resto per tutte le opere della sua piena maturità, nessuna particolare lettura del Ballo si è mai attestata come riferimento imprescindibile. Nemmeno le edizioni più riuscite del Novecento come quella della Scala del ’57, hanno avuto la forza di imporsi in questo senso. Restano vive nel ricordo collettivo le splendide foto che ritraggono la Callas, nei mirabili abiti ideati dalla creatività di Nicola Benois, ma né le scene, né i costumi né la regia ci hanno lasciato una vera traccia indelebile.
Per questo motivo, nell’allestire oggi questo titolo si dispone di scarsi riferimenti certi ma, di converso, di ampia libertà interpretativa.
Ho quindi deciso di intraprendere un cammino autonomo, senza particolari vincoli ma con la sola ed unica condizione di rispettare la chiarezza narrativa traendo beneficio anche dalle nuove possibilità video-scenografiche e digitali. Da un lato ho scelto di rispettare l’ambientazione sia geografica sia cronologica, dall’altro ho cercato di imprimere coerenza cromatica idealizzando i toni cupi, fangosi e sfumati, lampeggiati da improvvise fiammate, tanto cari al Seicento di Rembrandt. Le note cromatiche e grafiche si fonderanno con le luci di scena e con i costumi. Poiché l’opera si svolge prevalentemente in ambienti chiusi e poco illuminati oppure nel mistero della notte, per i fondali ho cercato ispirazione tra le opere del grande incisore Giambattista Piranesi (1720[1] – 1778). Le sue carceri intricate di invenzione e le sue ossessive visioni di ruderi classici avvolgeranno la vicenda in un clima di fascinazione irreale. Mancava però un ulteriore elemento per ricreare i momenti di inquietudine onirica; per questo scopo ho inserito alcune prospettive azzardate, al limite del surreale, tratte da celebri interni progettati da Filippo Juvarra (1678 – 1736).
Renderò il tratto magico e demoniaco con il supporto tecnico di effetti animati.
Il ballo finale, in costumi cupi, ampi e flessuosi, dominati dai neri, descriverà una macabra danza alla quale interverranno tutti i protagonisti che, con maggiore o minore consapevolezza, disegneranno il tragico epilogo.
Richiederò agli artisti una condotta scenica semplice e diretta per dare chiarezza all’avvincente narrazione. Così facendo spero di poter guidare efficacemente lo spettatore nell’evoluzione drammatica offerta da questo immortale capolavoro verdiano.

a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.


 

20 Marzo 2015 - Norma
Norma è un’opera fuori degli schemi. La ragione va probabilmente cercata nel fatto che essa si colloca in un momento di snodo culturale ed artistico tra il grande melodramma della tradizione neoclassica e il dramma in musica della nuova tendenza “Romantica”. Della prima tradizione emerge una mirabile compostezza formale e la pura stilizzazione delle forme. L’identità romantica si manifesta invece nella scoperta tensione drammatica e nell’alta temperatura passionale. In questo equilibrio, il grande Bellini, coadiuvato da un ispiratissimo Romani, ci consegna una struttura drammatica e musicale stabile, perfetta e godibilissima. Accanto a questa fusione di generi affiora un ulteriore elemento trattato in modo assolutamente nuovo. Mi riferisco al sottofondo di ritualità, reso percettibile ora con segni profondi e sanguinosi, ora con segni rasserenanti ed immersi in un passato remotissimo e nebbioso.
Bellini, attraverso la ritualità, rievoca gesti di spiritualità ancestrale, legati ai riti della terra, della luna, dei boschi, cioè a soggetti che, a ben pensare, sono sempre stati poco presenti nella tradizione operistica e che dunque risultano particolarmente stimolanti.
Queste riflessioni sulla musica e sulla poesia di Norma mi hanno suggerito tre temi registici. Il primo, che chiamerei essenza “canoviana”, sarà giocato attorno alla presenza di statue e tuniche greco-romane; il secondo tema sarà una costante celebrazione dell’elemento notturno e naturale, con particolare riferimento ai fenomeni atmosferici; il terzo sarà invece la connotazione marcatamente primitiva o primordiale dei riti druidici e celtici che evocherò con l’inserimento di spunti archeologici.
Parallelamente, la gestualità che richiederò ai solisti ed al coro, sarà statuaria e legata a “pose sceniche” nei momenti pubblici e rituali; spontanea e diretta nelle scene intime; toccherà invece espressioni imperiose e simboliche negli apici di tensione drammatica.
Con questa impostazione mi ripropongo di rendere ragione della più ampia rosa possibile di sfaccettature e caratteri insiti nella natura di ogni personaggio, con un rilievo particolare per la protagonista. Ricordo volentieri a questo proposito che Bellini, nel presentare questa figura alla creatrice della parte, Giuditta Pasta, descrisse Norma come “enciclopedica” cioè ricca di infinte tinte e innumerevoli risorse.

a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.


 

17 Aprile 2015 - Le nozze di Figaro
Potrebbe sembrare una precisazione inutilema è bene sottolineare che Le nozze di Figaro appartengono tanto a Mozart quanto a da Ponte;infatti non solo i due hanno lavorato a stretto contatto ad ogni fase del lavoro, ma l’eccezionale simbiosi stabilitasi ha dato vita ad una creazione perfetta, che rasenta il divino. Questo è il punto focale che rende quest'opera un unicum sia musicale sia teatrale. L'obiettivo che la mia regia si prefigge è quindi quello di offrire un viaggio tra i personaggi e le loro dinamiche che riesca a toccare nel profondo la nostra psicologia, le nostre passioni. C'è anche il mio desiderio personale, da amante della musica, di poter condividere sia con il palco sia con la platea le emozioni, le rivelazioni, e lo stupore insiti in questo lavoro inestimabile.
La verità dei dialoghi e la dinamica delle azioni, che sgorgano attualissimi anche dopo più di due secoli di vita, stupisce per quantità, per qualità e per lo smisurato affresco di contenuti… e molto si nasconde dietro ogni facciata di apparente elementarità quotidiana. Gli affetti sono veri, spontanei, mai plateali. Mozart e da Ponte scartano le tipologie classiche o le maschere stereotipate, come il malvagio o il puro. Tutti sono invece umani e per questo al contempo semplici e complessi, un po’ limpidi e un po’ corrotti. Cade ogni classificazione o censura morale: tutto risulta giustificabile, inevitabile, dinamico, evolutivo, vero. I sentimenti compaiono poco descritti e molto creati dall’azione e dalla musica. Solo per fare un esempio: il Conte non è soltanto protervo e dispotico, ma anzi, ha fascino da vendere, tanto che nel duetto con Susanna, lei ne resta rischiosamente turbata e in questo gioco il nobile stesso non eccede a facili abusi di potere, ma accetta tacitamente la sfida borghese e vitale di Figaro. Queste e molte altre situazioni border line ci spingono a guardare oltre la vivida quotidianità e la dinamica letterale, proiettandoci piuttosto in una dimensione di allegorie e sfumature estemporanee di pura commozione. Ed è questo il clima che vorrei imprimere a questa mia edizione delle “Nozze”. A sostegno del mio intento, mi muoverò su due vie sovrapponibili. La prima legata allo snodarsi della trama e l'altra alla presenza di elementi suggestivi, ora nascosti, ora in piena luce. Richiederò quindi ai solisti e al coro grande spontaneità di gesto. Mi sforzerò poi, in collaborazione con Matteo Scarpellini, di creare delle scene che, pur non rinunciando al clima poetico generale (soprattutto per l'ultimo quadro del boschetto), possano suscitare un palpito vitale schiettamente mozartiano. Darò spazio ai tratti spagnoli dell'ambientazione con libere ispirazioni a Velaquez e Goya cercando di interpretare, in controluce, i lampi che Mozart e da Ponteproiettano sul tema dell'unione coniugale. Il racconto ci presenta infatti almeno quattro coppie che corrispondo non solo a diverse fasce d’età , ma anche a distinte dinamiche affettive (non prive di contaminazioni incrociate): Cherubino e Barbarina nel loro affacciarsi ai turbamenti del rapporto a due; Figaro e Susanna nel loro entusiasmo ardente del dì delle nozze; il Conte e la Contessa di Almaviva colti in una crisi vissuta in un progredire di tiepida quotidianità, cedimenti, rimpianti, dolore, dignità e riscatto; ed infine Don Bartolo e Marcellina che, quasi dimenticate le loro antiche nozze clandestine, scoprono la forza imprevista di reinventarsi come novelli sposi.
Mozart e da Ponte, incantatori della musica e della parola, faranno il resto!