23 Ottobre 2015 - Concerto Donizettiano
La serata inaugurale è la nostra festa, dove per “nostra” intendiamo di chi offre la propria esperienza o la propria professionalità, di chi dà liberamente il suo contributo, di chi riconosce o apprezza la prima volta il nostro entusiasmo e la nostra serietà e di chi rinnova ogni anno la fiduciosa adesione ad un viaggio fatto d’arte, di musica, di vita vera e di vita di scena (spesso autentica come quella quotidiana).
Prima di ogni nuova stagione, il Maestro Carissoni ed io ci misuriamo con l’esercizio di affrontare nel modo più serio possibile i colossi della musica senza mai perdere di vista i limiti oggettivi inevitabili per un piccolo circolo come il Mayr-Donizetti. Un esempio? Possiamo concederci una o due prove al massimo. In questo ci animerà come sempre un grande scrupolo e soprattutto la nostra passione sconfinata per l’arte che cercheremo di riversare a larga mano in questi 6 appuntamenti. Li vivremo con la totale adesione che si riserva ad una gara sportiva in cui non si deve mollare mai; ma anche con il rispetto e con la devozione dovuti all’opera, la forma d’arte straordinaria che amiamo diffondere. Speriamo così che ogni serata, quasi sempre con la Piccola orchestra dei Colli Morenici diretta dal Maestro Carissoni, possa essere un momento di bellezza, di verità, ma anche di sorpresa e di teatro e, se possibile, un piccolo evento.
L’itinerario scelto per questa 41a stagione prevede tappe ben diverse e momenti assortiti. Vari sono gli autori che abbiamo scelto, Mozart, Donizetti, Bellini e Verdi, e diversi sono i generi che toccheremo: il dramma giocoso (Così fan tutte), l’opera buffa (L’elisir d’Amore), l’opera romantica (I Puritani), il melodramma nel senso più comune del termine (La Traviata), e il grand-opéra all’italiana (Aida). Questo viaggio si apre e si chiude nel nome di Donizetti: un concerto-tributo e la sua opera buffa più accattivante per l’ispirazione della musica, la vicenda avvincente e la vitalità di personaggi come Adina e Nemorino. Le pagine scelte per il concerto donizettiano di apertura sono una vera ghiottoneria; saranno infatti presenti accanto ad arie notissime alcune meno usuali ma altrettanto interessanti. Il concerto si aprirà infatti con un brano che raramente si ha occasione di ascoltare: il Canto XXXII della dantesca Divina Commedia (Canto del Conte Ugolino), musicato da Donizetti per uno dei suoi più grandi primi interpreti oltre che vero amico: il basso Luigi Lablache. L’esecutore sarà lo stimatissimo basso Paolo Battaglia, ormai un veterano del Circolo. Questa rara creazione donizettiana sarà dedicata ad un altro celebre basso legato al Circolo e ospite della serata: il bergamasco Teodoro Rovetta.
Questo artista, storico sostenitore e collaboratore del Circolo, diede proprio, nei primissimi anni Ottanta, nuova notorietà a questo inusuale, felice connubio poesia-musica. Il nostro omaggio, in occasione dei suoi novant’anni, è la testimonianza diretta della riconoscenza per il suo prezioso contributo all’opera e alla vita musicale
I soprani Mirella De Vita e ad Anna Consolaro rappresentano l’ideale accostamento di due primedonne, una buffa e l’altra seria.
Mirella De Vita, apprezzata sorellastra nella nostra La Cenerentola e vitalissimo Oscar ne Un Ballo in Maschera dello scorso anno sarà dunque la nostra “prima buffa”, per usare la dicitura settecentesca. Grazie a lei potremo assaporare pagine note ed amate come O luce di quest’anima (Linda di Chamonix), e la grande aria di Maria (La figlia del Reggimento), ma anche due autentiche rarità: la briosa Figlia son di un colonello dal quel gradevolissimo gioiello che è L’Ajo nell’Imbarazzo e il pirotecnico finale de Il Furioso nell’Isola di Santo Domingo, Se pietoso di un oblio.
La nostra “prima seria”, sempre secondo la dicitura settecentesca, sarà invece una delle più piacevoli scoperte delle nostre recenti audizioni: Anna Consolaro. Suoi saranno i tributi al Donizetti-serio con le mirabolanti scene finali di Bolena e di Roberto Deverux. Da lei oltre ad Al dolce guidami e Vivi ingrato (due pagine di puro fascino, due appuntamenti di mezzanotte), ascolteremo Come è bello (Lucrezia Borgia), e Di quasi soavi lagrime, (Poliuto), quintessenza del patetismo donizettiano. Concertatore al pianoforte sarà Damiano Maria Carissoni.
Buon Donizetti e Buona Stagione a tutti!
a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.
13 Novembre 2015 - Aida
Aida è un’opera di indiscussa notorietà. Va da sé quindi che esista un numero ragguardevole di allestimenti che sono altrettanti punti di riferimento. Aida deve in primo luogo contenere elementi e richiami di sontuosa teatralità, senza però prescindere dalla liricità sentimentale, dai colori soffusi di alba lunare e dai tratti inquietanti di carceri spaventose e di tombe oscure. Farò quindi ogni sforzo per dare spazio adeguato ai ballabili e alle grandi scene di massa, in modo che risultino come contraltare alla sottigliezza psicologica dei singoli personaggi allorquando si abbandonano a sogni e ad illusioni segrete, espanse fino alla propria disperazione. La mia regia si pone dunque come principale obiettivo quello di rendere in maniera leggibile queste due componenti in contrasto (sfarzo e intimità), in un contesto di narrazione fluida e chiara, rispettosa della tradizione e delle indicazioni fornite dallo stesso Verdi. Cercherò inoltre di portare una forte suggestione di colori, luci, atmosfere, luoghi ed ambienti anche introducendo figurazioni e angolature inusuali. Sarà presente qualche omaggio alle celeberrime atmosfere create da Lila de Nobili, rilette però in chiave di maggiore dinamismo. Nel corso della narrazione saranno riconoscibili, secondo una pratica quanto mai verdiana, diversi piani visivi e variazioni nella ripartizione degli spazi, a vantaggio della disposizione funzionale degli artisti, anche nella dimensione verticale (in particolare nella scena finale, in modo da suggerire la divisione tra la tomba di Radames e di Aida, e il tempio sovrastante con Amneris, ormai sola con il suo rimorso).
a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.
18 Dicembre 2015 - Così fan tutte
Così fan tutte riassume perfettamente il clima settecentesco, nel quale nasce; l’opera contiene infatti indiscutibili riferimenti ad un Illuminismo che aspira a dare una forma perfetta alla realtà. La struttura stessa di questo capolavoro è quindi volutamente impostata su uno schema di continue e incrollabili simmetrie e specularità che sembrano voler dar forma anche a ciò che non ne può avere, come i sentimenti e le inclinazioni personali.
Il primo segno di questo schema ci viene dai timbri scelti per le voci dei quattro ragazzi protagonisti che già tratteggiano un diverso approccio alla vita: i registri acuti sono affidati ai personaggi più meditativi (tenore Ferrando, soprano Fiordiligi), mentre quelli intermedi, contrassegnano i caratteri più spontanei e passionali (baritono Guglielmo, mezzosoprano Dorabella).
Per questo la prima scelta della mia regia sarà la ricerca di agili contrasti tra una linearità espositiva di fondo (la cornice razionale), e ampie aperure agli imprevedibili spunti umani che si annidano nel racconto.
Mozart e Da Ponte complici più che mai in questo testo tutto voluto e dovuto a loro, per esprimere il loro pensiero (non esiste una vera e propria fonte diretta della trama, e questa è una rarità nel mondo dell’opera), ci pongono di fronte ad una sfida, solo apparentemente indolore, tra sentimento e fedeltà, e sta alla regia, agli artisti e al pubblico raccoglierla, fino a divenirne complici.
Ho quindi immaginato un contorno scenografico con giochi di specchi quasi caleidoscopici, per accogliere la vicenda delle due coppie e per accompagnare lo spettatore nel più bel labirinto creato da Mozart e da Ponte.
Sono loro, gli autori, a sfidarci in questa partita, le cui conseguenze sono destinate a superare i limiti del tranquillo gioco da tavolo, fino ad insinuarsi nelle nostre sfere più profonde ove il protagonista è l'amore, vissuto via via come trasporto sentimentale (reso lecito e libero dalla natura), come elevazione a nobile sentimento di fedeltà, e continuamente sfidato e sconsacrato dai canoni dell'Illuminismo fino all’imprescindibile matrimonio finale. Vorrei dunque dare il massimo risalto al viaggio iniziatico delle due coppie (non a caso il sotto titolo dell’opera è “la scuola degli amanti”), accentuando la crescente consapevolezza e maturità che porterà i nostri quattro simpatici ragazzi all’ingresso nella vita adulta.
Vedremo i quattro giovani affrontare un autentico rompicapo psicologico, in situazioni che sembrano fatte per sfuggire di mano sotto l'influenza dei sentimenti, delle passioni, dei dubbi, della volontà, e di una giocosa ironia di fondo. In questo percorso, non immune dalle sofferenze per le “sbandate” provocate e subite sia nelle coppie che nelle amicizie, apparirà anche la gioia più intensa di quattro vite che approdano alla maturazione dando un senso nuovo e vero all’esistenza.
Gli apparenti artéfici di questo percorso pericoloso sono Don Alfonso e Despina, due personaggi che gli studi o la vita hanno reso “filosofi”. Ma i loro riti cattedratici, placidi e saccenti, le loro dottrine spicciole, più che piegare quattro cuori pronti a correre incontro alla vita, serviranno solo a catalizzare una maturazione sentimentale comunque inarrestabile. Cercherò di porre in rilievo alcuni contrasti tra questi due strani complici: lui anziano e nutrito dagli studi, ma anche disincantato dall’esperienza di un vita ormai svanita; lei sedicente esperta di una “scuola della vita” basata sulla “legge di natura e non prudenza solo”. Costoro, saranno i trionfatori formali della partita (vincendo le loro scommesse e ricavandone quattro soldi); ma le loro figure risulteranno perdenti nella gara della vita per la scarsa apertura verso relazioni profonde. Nel finale, nondimeno, vorrei suggerire anche per loro, come messaggio di speranza, qualche contagio dai sentimenti delle due coppie, e qualche anelito di dimensione umana.
Ai quattro giovani forse rimane il rimpianto per certi brividi toccati solo di sfuggita (ma goduti davvero), e per l’idea che le “strane” coppie scambiate, createsi per una sola giornata, fossero per assurdo più perfette di quelle originali, goffamente riaffermate nel finale; eppure proprio queste coppie “sbagliate” ma vere, appaiono pronte ad affrontare il difficile viaggio della vita, anche fuori della commedia.
a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.
26 Febbraio 2016 - I Puritani
I Puritani: opera ispirata dalla malinconia. Come un presagio quest'ultima opera composta dal giovane Bellini –che poco dopo, romanticamente e in giovane età, incontrerà la morte– ci comunica un tono per lo più dolente e malinconico che definirei perfetto per un “testamento musicale”.
La natura di quest’opera mi spinge alla tentazione di un parallelismo con Lucia di Lammermoor del nostro Donizetti. Questi due melodrammi, decisamente simili per ambientazione, per snodi narrativi, per derivazione (entrambi sono riconducibili ad altrettanti lavori di Walter Scott), e per data di rappresentazione (appena sei mesi di distanza), mostrano però due prospettive di approccio diverse. Donizetti realizza un quadro a tinte forti sondando, con scrupolosa attenzione psicologica, le dinamiche e i contrasti tra i personaggi. Bellini predilige invece un clima più dolce e sfumato. Anche lo spessore atmosferico risulta distinto: Donizetti rievoca una Scozia sferzata da venti e tempeste, Bellini ci presenta un Devon nebbioso, come oppresso da un’incessante pioggia: il primo caratterizza un capolavoro di drammaturgia musicale in cui la tensione si manifesta apertamente; il secondo rende piuttosto un soffuso acquarello lirico, fatto di ripiegamenti interiori e di sogno. Sulla sottolineatura di queste differenze tra i due capolavori ho dunque basato le mie scelte registiche. Il punto focale sarà un grande rosone di chiesa gotica attraverso il quale scorgeremo via via gli ambienti della vicenda, accarezzati da luci debolmente diffuse e linee vaghe. Ai due tormentati amanti protagonisti e al coro femminile (le voci più acute), richiederò un gesto morbido e flessuoso, prevedo invece maggiore evidenza scenica e spessore drammatico per le voci più gravi e per il coro maschile. In ultima analisi vorrei accompagnare il pubblico in un sogno romantico, in punta di pedi, sino al lieto fine: una sorta di risveglio col sapore misto della gioia e della malinconia.
a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.
18 Marzo 2016 - La Traviata
Siamo alla “mia” seconda La traviata per il Mayr-Donizetti. Nel mio primo allestimento avevo puntato sull’incomunicabilità tra Violetta ed Alfredo o, per esteso, tra uomo e donna e sul conseguente senso di solitudine. In questa nuova edizione vorrei invece sottolineare il contrasto tra la volontà dei giovani di vivere in piena libertà i propri amori e gli ostacoli che inevitabilmente si frappongono. Il desiderio di Violetta ed Alfredo appare subito come riprovevole e quindi impossibile alla generazione precedente alla loro di cui Giorgio Germont è l’austero portavoce, per via delle convenzioni sociali, etiche e morali. Per rendere ancor più evidente lo scontro generazionale in un contesto di forti cambiamenti sociali ho scelto di spostare lievemente in avanti l’ambientazione collocandola alla fine della Belle Époque, pur mantenendo come punto focale la città di Parigi. La capitale del positivismo scientifico e della sensualità, dell’ottimismo portato all’eccesso, funge infatti da contesto ideale di spensieratezza sovraeccitata ed erotismo febbrile, pur nella crescente consapevolezza istintiva che quella vitalità si sarebbe a poco frantumata di fronte alla più terribile realtà: i futuri orrori della Prima Guerra Mondiale. L’elemento visivo dominante dell’epoca, il liberty –per dirlo con un termine caro agli italiani–, con le sue volute morbidamente intrecciate e languidamente infinite, ci offrirà gli elementi naturali e floreali stilizzati, tanto adatti a divenire astrazione simbolica e decorativa, ancora una volta estremo e autodistruttivo anelito di vita ed ebbrezza di morte. In questo contesto apparirà ancor più logica e coerente la valenza dell’immagine simbolo di un fiore: metafora della vana speranza di riscatto affettivo e sociale di Violetta / Signora delle Camelie.
Vorrei anche dare, rispetto alla tradizione, maggiore spazio a Giorgio Germont. Questo personaggio, che incarna probabilmente il percorso di crescita più significativo di tutta la vicenda, ci apparirà dapprima come soggetto distaccato ma acquisterà sempre più un ruolo interno alla vicenda, esprimendo, via via, curiosità, dubbio, meditazione, e infine urgenza di riscatto, sino al commosso abbraccio col figlio che rivelerà la purezza del suo autentico sentimento, ora non più represso e distorto. Solo di fronte ad una Violetta morente, riscatterà il suo errore di umano “ritardo” delle convinzioni.
a cura del Prof. Valerio Lopane, musicologo e regista.
15 Aprile 2016 - L’Elisir d’amore
L’Elisir d’amore per la natura della vicenda, per la rapidità dello svolgimento delle azioni, per la freschezza del libretto e per la scoppiettante comicità delle situazioni è un’opera che travalica i confini nei quali è stata immaginata (un villaggio dei Paesi Baschi, alla fine del XVIII secolo). Non solo essa regge in pieno il gusto dei giorni nostri, ma, oserei dire, è baciata da una perfetta atemporalità. Se la spocchiosa spacconeria di Belcore, ci può infatti riportare alla mente l’antica commedia, pure atemporale, di Plauto Il soldato vanaglorioso, il ciarlatano Dulcamara incarna a tutto tondo santoni, imbonitori e sedicenti medici di ieri, di oggi e di domani. I riferimenti a Tristano e Isotta ci riportano addirittura alla mitologia medievale celtica. Gli ostacoli ai sentimenti di Nemorino e il pragmatismo borghese di Adina, poi, sono un vero cliché della natura umana di ogni tempo e luogo. Per questi motivi ho sempre ritenuto la collocazione geo-cronologica della vicenda non determinante ma poco più che accidentale. Spazio e tempo sono un semplice pretesto per dare uno sfondo al vero nucleo dell’opera: il suo clima umano ora decisamente buffo, ora meditativo, ora sognante, ora malinconico e infine, naturalmente, gioioso. Ho quindi deciso di giocare con la collocazione che si muoverà negli Anni Trenta del secolo passato entro un’aia di una cascina di una tipica bassa campagna italiana. Belcore richiamerà le piccole beghe e prepotenze di un qualunque generico gerarca di periferia, la figura di Dulcamara sarà presentata come quella di uno scalcinato istrione itinerante in una cornice da circo di strada. Vorrei evocare in definitiva, come un omaggio al grande Federico Fellini, il clima incantato che abbiamo conosciuto in film come Amarcord e La Strada. Questa scelta mi offre, inoltre, la possibilità di sottolineare in modo un po’ diverso dal solito la sensuale ironia nei rapporti di coppia ma anche di indirizzare alla società italiana del Ventennio Fascista il bonario e a volte pungente sarcasmo qua e là presente nell’opera. Va da sé che la presenza del tema del Circo legato alla figura di Dulcamara mi aprirà il cammino verso un clima onirico, surreale e straniante che trovo perfetto per presentare il sapore favolistico, languido, e a tratti duramente realistico, della vicenda.